Tipica Fauna Alpina in Piemonte – Norme e tutela

Tipica Fauna Alpina in Piemonte – Norme e tutela

Le modifiche alla legge regionale 5/2018 apportate con la legge L.R. n. 15/2020 del mese di luglio hanno creato una certa confusione nell’interpretazione normativa circa i requisiti dei cacciatori abilitati all’esercizio della caccia alla tipica fauna alpina.

Il comma 1 dell’articolo 9 della legge regionale 5/2018 è stato infatti sostituito dal seguente:

“1. La Regione, in attuazione della legge 157/1992, anche al fine di realizzare uno stretto legame dei cacciatori con il territorio per favorire il loro impegno nella gestione e nella salvaguardia dei beni faunistico-ambientali, determina in modo adeguato le dimensioni spaziali e faunistiche dei singoli ambiti venatori. Il cacciatore residente in Piemonte fissa la propria residenza venatoria nell’ATC o CA ove ritira il proprio tesserino venatorio regionale. Ulteriori ammissioni sono consentite, previo consenso dei rispettivi organi di gestione, nel rispetto del numero totale di cacciatori ammissibili. Il prelievo nei confronti della tipica fauna alpina è comunque limitato al solo CA di residenza venatoria.”

Occorre considerare due aspetti: la residenza venatoria non è una scelta fatta in maniera certificata dal cacciatore piemontese, in quanto viene rilasciata dal sistema anagrafico regionale in base al primo CA che registra il pagamento del cacciatore stesso.

Diversi sono stati infatti i casi di cacciatori che si sono ritrovati come residenza venatoria un CA in cui hanno fatto per la prima volta richiesta di adesione, ovvero cacciatori che senza richiedere nulla sono stati registrati in un CA in cui, seppur iscritti, non pratica la caccia alla tipica fauna alpina.

Infatti, l’unica scelta formale fatta dal cacciatore mediante autocertificazione riguarda l’indicazione in cui effettuare il prelievo alla tipica fauna alpina, forma di caccia che può essere svolta solo in un CA in Regione Piemonte. Per tale motivo il cacciatore deve specificare in quale CA intende esercitare questa forma di caccia.

Nulla era richiesta prima di luglio riguardo invece la residenza venatoria.

La segreteria dell’Assessorato Agricoltura, Caccia e Pesca, con una mail del 21 agosto 2020, indirizzata a tutti i CA, ha specificato che:

Essendo la modifica inerente la limitazione della tipica fauna alpina intervenuta in data 09 luglio 2020 ed essendo i tesserini venatori generati prima di tale data, l’Ufficio scrivente ritiene che si possa effettuare la modifica della residenza venatoria per esercitare il prelievo della tipica fauna alpina nel seguente modo:

1) richiesta da parte del cacciatore di modifica della residenza venatoria;

2) consenso da parte dei CA interessati;

3) verifica dell’utilizzo del tesserino venatorio; in caso positivo è necessario da parte del CA verbalizzare giornate di caccia e capi abbattuti;

4) a seguito del ricevimento della doc. citata, l’Ufficio provvederà ad annullare il tesserino consentendo al CA l’emissione di uno nuovo.

Tale indicazione è doverosa al fine di permettere a coloro i quali non avevano o non gli era assegnata la residenza venatoria nel CA in cui hanno deciso di cacciare la tipica fauna alpina, di effettuare il cambio di residenza e mettersi in regola con la normativa che era entrata in vigore successivamente al pagamento della loro quota associativa.

Rimaneva in ogni caso aperto il quesito circa l’ammissibilità o meno dei fuori regione. Infatti, nelle medesima mail, la segreteria scriveva che:

Per quanto riguarda la problematica sempre legata al prelievo della tipica fauna alpina ma da parte dei cacciatori residenti in altre regioni o all’estero, essendo la modifica di legge non di facile interpretazione, l’Ufficio richiederà in tempi brevi un parere al Settore Affari Istituzionali e processo di delega.

In data 31 agosto 2020, il responsabile del Settore Caccia e Pesca, con una nota indirizzata ai Comitati di gestione del CA, pur specificando che l’interpretazione della norma dipende in via esclusiva al soggetto che l’ha emanata, cerca di chiarire cosa si intende con la modifica dell’articolo 9 della LR 5/2018.

Il responsabile, infatti, riprendendo l’articolo, specifica che l’interpretazione letterale della modifica, per quanto concerne il concetto di residenza venatoria sia da intendersi esclusivamente rivolta ai cacciatori piemontesi che esercitano l’attività nei CA e che tale concetto non è pertanto applicabile ai cacciatori foranei.

Inoltre, il responsabile, riporta a scanso di equivoci l’articolo 12 della LR 5/2018 che cita al comma 5 che:

“Il prelievo venatorio nella zona faunistica delle Alpi è disciplinato in maniera particolare e differenziato dalla Giunta regionale anzitutto al fine di proteggere la caratteristica fauna alpina, anche nel rispetto delle consuetudini e tradizioni locali. A tale scopo, i CA possono limitare il prelievo di tali specie ai cacciatori residenti nei comuni dello stesso CA ed anche organizzare il prelievo con assegnazione nominativa dei capi prelevabili e luogo di prelievo degli stessi, come previsto dall’articolo 9, comma 8”.

Tale norma consente pertanto ai CA di limitare il prelievo alla tipica fauna alpina in via esclusiva ai cacciatori residenti nei comuni ricompresi nel CA, con una restrizione chiara e supportata dalla norma sia nei confronti dei cacciatori foranei che di altri cacciatori piemontesi.

Stando quindi a quanto sancito a livello normativo e riferito a livello interpretativo dall’istituzione regionale, le scelte dei CA per l’anno in corso prevedono due opzioni:

  • l’ammissione di tutti i cacciatori piemontesi con residenza venatoria nel CA in cui hanno richiesto l’esercizio della caccia alla tipica fauna alpina e dei cacciatori foranei che nella medesima modalità hanno dichiarato di esercitare la caccia alla tipica alpina in via esclusiva in quel CA;
  • l’ammissione alla caccia alla tipica alpina in via esclusiva ai soli residenti nei comuni ricompresi nel CA in base all’art. 12 comma 5 della LR 5/2018.

Qualunque altra forma di accettazione di cacciatori che non rispondano ai seguenti parametri e che siano frutto di mediazioni, non appaiono pertanto lecite nel rispetto del dettame normativo.

La tutela della Tipica fauna alpina non deve travisare in campanilismo venatorio. Nessuno può sostenere che i residenti di un CA siano più o meno bravi di chi non è residente. Ci sono cacciatori bravi e meno bravi in ogni contesto, ciò che è importante è far accrescere la cultura venatoria ed il rispetto per il selvatico coinvolgendo tutti i cacciatori nella gestione e nella conservazione della fauna.

La caccia alla tipica fauna alpina non può essere vista solo ed esclusivamente come carniere venatorio, ma deve sviluppare sempre più l’interesse cinofilo e la conservazione delle specie dei galliformi alpini.

Come tecnici è importante sottolineare che senza la collaborazione col mondo venatorio nello studio e nella ricerca inerente alle popolazioni della tipica fauna alpina, rischiamo di perdere ogni dato circa consistenza e presenza delle specie target. Ad esempio, sul francolino di monte, specie chiusa all’attività venatoria, sappiamo poco o nulla. Non è una specie che attira grandi finanziamenti da parte di enti di ricerca e nemmeno grande interesse mediatico. Va da sé che l’approccio scientifico a tale specie è demandato a piccoli lavori spesso basati sulla passione di qualche collega.

Il ruolo dei cacciatori è quindi essenziale per raccogliere i dati di presenza e distribuzione durante i censimenti primaverili al canto e, soprattutto, durante i censimenti estivi, in cui per valutare il successivo riproduttivo, è fondamentale disporre di cani adeguatamente addestrati e allenati.

Ne consegue che l’attuale attività venatoria rivolta alla tipica fauna alpina pone le sue basi su un approccio cinofilo che non può più essere improvvisato, ma che deve necessariamente diventare professionale.

L’educazione del cane da ferma occupa l’intera annualità per un cacciatore, dall’addestramento all’allenamento, passando anche da prove di lavoro e dal confronto con altri cacciatori al fine di migliorare sempre più il livello di base.

Attualmente la caccia al fagiano di monte, alla coturnice, alla pernice bianca, rappresentano delle professionalità venatorie ben specifiche. A bene vedere, per la mia umile esperienza ormai quasi ventennale nell’osservare cani da ferma durante i censimenti, queste tre specie richiederebbero cani e cacciatori specifici, adatti al territorio e capaci di muoversi in contesti ambientali differenti.

La tutela della tipica alpina, quindi, non deve arrivare attraverso l’eliminazione di cacciatori in base alla carta di identità o alla residenza fiscale, ma attraverso una specializzazione delle forme di caccia, attraverso una maggior formazione che fornisca dati relativi all’importanza della conservazione di queste specie e attraverso una crescita della cinofilia venatoria. A dire il vero, la tutela della tipica fauna alpina dovrebbe passare anche attraverso azioni che nulla hanno a che vedere con il mondo venatorio, ma che invece devono prevedere una maggior comunicazione con altri fruitori della montagna, il cui impatto, a volte, è anche maggiore dell’attività venatoria stessa!

Solo in questo modo è possibile davvero ridurre la pressione venatoria in quanto si coinvolge nella gestione il cacciatore stesso, non perché ha interesse nel carniere, ma perché trova nell’attività venatoria l’esaltazione della cinofilia, che per mantenersi ha bisogna essa stessa della presenza del selvatico. Un circolo virtuoso, già sperimentato in altre occasioni, che contribuisce ad un autocontrollo e ad una crescita del comparto venatorio.

Riguardo al resto… lasciamo stare.

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