I cacciatori possono svolgere un ruolo nelle politiche di conservazione faunistica?

Riportiamo dal sito BigHunter l’estratto dell’intervista a Luca Pellicioli (Studio Associato AlpVet e Coordinatore della Commissione Ungulati UNCZA) rilasciata a Patrizia Cimberio sui temi trattati nell’ambito del convegno “Quale gestione venatoria per il futuro del camoscio alpino?” tenutosi della 51° Assemblea nazionale UNCZA.

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Qual è il rapporto oggi tra animali selvatici e il territorio alpino?
Stiamo attraversando un periodo di grandi trasformazioni sia nell’ambito dell’attività venatoria, sia della cultura di montagna, ma ritengo che queste trasformazioni possano essere anche una grande opportunità. Dal punto di vista strettamente faunistico, gli ultimi decenni si sono caratterizzati da un incremento di ungulati selvatici, affiancato da una serie di problematiche e criticità legate al mondo della montagna e in particolare al comparto zootecnico e a nuovi scenari che si affacciano, quali il ritorno dei grandi predatori, come il lupo e l’orso. In questo contesto appare sempre più importante sviluppare nuovi modelli di sostenibilità e miglioramento degli habitat in logiche faunistiche.

I cacciatori possono svolgere un ruolo nelle politiche di conservazione faunistica?
In una visione Europea del termine ‘conservazione’ è implicito il concetto di gestione e di protezione e quindi anche quello di una gestione attiva delle popolazioni, compresa l’attività di prelievo sostenibile. I cacciatori quindi svolgono in prima persona un’attività di conservazione attiva a tutela del patrimonio faunistico.

I dati sulle stime e sui prelievi del camoscio sulle Alpi presentati oggi a che periodo si riferiscono? Come sono stati raccolti?
I dati presentati oggi sono la sintesi di un complesso lavoro di raccolta dati finalizzato a contribuire alla definizione delle stime di consistenza degli ungulati selvatici sulle Alpi, iniziato nel Marzo 2012 dalla Commissione Ungulati UNCZA, di cui sono attualmente il coordinatore, e terminato nel Maggio 2016. Questa indagine ha raccolto complessivamente i dati di 6 stagioni venatorie dal 2009 al 2014. Abbiamo stimato la consistenza dei capi a livello provinciale, in base ai censimenti effettuati dai Comprensori Alpini di Caccia (CA), e quella dei prelievi effettivi. Dopo aver valutato più ipotesi, si è scelto di utilizzare una scheda semplificata per la raccolta dei dati, per poter così uniformare il flusso dei dati ed essere sicuri di riuscire ad ottenere il risultato prefissato. La nostra area di studio ha coperto l’intero arco alpino diviso in 24 province, successivamente raggruppate in 3 macro-regioni alpine: zona occidentale (Cuneo, Torino, Biella, Savona, Imperia, Verbano Cusio Ossola, Valle d’Aosta, Vercelli); zona centrale (Bergamo, Brescia, Como, Lecco, Sondrio, Varese) e zona Orientale (Belluno, Bolzano, Gorizia, Pordenone, Trento, Treviso, Trieste, Udine, Verona, Vicenza). Ogni referente della Commissione Ungulati UNCZA (uno per ogni provincia) ha svolto un’azione fondamentale di verifica dei dati raccolti sul proprio territorio, tramite grazie al supporto dei servizi faunistici delle provincie, quello dei Comprensori Alpini di caccia e dei tecnici faunistici, comunicandoli successivamente al Coordinatore della Commissione. I dati raccolti, nel corso del lungo periodo di studio, sono stati presentati alla Commissione Ungulati grazie a report intermedi e riverificati dai singoli referenti. 
Durante la 61° Assemblea Generale del CIC, che si è tenuta a Milano nell’Aprile 2014, ho presentato un report preliminare sui dati raccolti.
N
el Maggio del 2016, si è concluso il primo ciclo di raccolta dati e il nostro obiettivo futuro è quello di continuare nella raccolta dei dati di altre stagioni venatorie fino ad arrivare ad una serie completa di 10 anni.

Per concludere, alla luce dei dati che avete raccolto con questa importante analisi, qual è la presenza del camoscio sulle nostre Alpi e quali sono stati i prelievi?
La nostra analisi, durata 6 anni, ha coperto interamente i comprensori alpini di caccia delle 24 provincie dell’arco alpino e ha evidenziato complessivamente un incremento costante dei capi stimati: dal 2009 con una presenza di circa 119.000 capi, sino al 2014 con quasi 125.000 capi, pari ad una crescita del 4,65%.
Il prelievo venatorio, nello stesso periodo e area di riferimento, ha avuto un andamento pressoché lineare, con una media annuale di circa 13.000 soggetti. Mettendo in parallelo i due dati abbiamo ottenuto un interessante quadro complessivo con un indice di prelievo lievemente superiore al 10% come media. Il dato dei capi prelevati assume un interesse particolare, non solo in relazione a quella che è l’attività strettamente faunistica-venatoria, ma anche in riferimento al grande capitolo di interessi emergenti legato alla filiera eco-alimentare. Il tema delle carni di selvaggina è infatti sempre più attuale ed è grande opportunità per il mondo venatorio, anche perché esistono precisi riferimenti normativi comunitari che permettono la commercializzazione da parte dei cacciatori formati della carne di selvaggina.

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