Progetto Filiera Eco-Alimentare: i primi risultati al 52° Convegno SIDEA a Viterbo

In questi giorni si sta passando dalla fase I alla fase II del Progetto Filiera Eco-Alimentare: Progetto di valorizzazione delle carni di selvaggina attraverso il miglioramento della qualità igienico-sanitaria, la creazione di un marchio d’origine e la promozione alimentare locale e turistica nel territorio dell’Alta Val d’Ossola (prov. VB)”. Loghi Filiera Eco-Alimentare
Il progetto, finanziato da Fondazione Cariplo, è svolto in collaborazione con Ars.Uni.VCO (capofila) e Università di Milano (con i dipartimenti VESPA, DIVET e Gesdimont) e l’Unione dei Comuni dell’Alta Ossola in qualità di partner. Il Dott. Roberto Viganò, dello Studio AlpVet, è responsabile scientifico del progetto.

Nella prima fase il progetto si è concentrato sulla divulgazione della conoscenza attraverso momenti formativi e seminari, oltre che sulla pianificazione della creazione di una filiera economicamente sostenibile e legata al territorio.
Nei mesi di giugno e luglio sono stati formati oltre 100 cacciatori della Provincia di Verbania, in base al Reg. CEE 853 del 2004. Inoltre è stato possibile raccogliere informazioni preliminari circa la possibilità di sviluppo di questa filiera e dei rischi e delle problematiche connesse.
Ne è uscito un lavoro che è stato presentato il 18 settembre nell’ambito del 52° Convegno SIDEA (Società Italiana di Economia Agraria) tenutosi a Viterbo. Tema della conferenza “The Value of Food: Internationalization, Competition and Local Development in Agro-Food Systems”.

SideaIl lavoro, presentato da Anna Gaviglio, Eugenio Demartini, Maria Elena Marescotti, Mattia Bertocchi, Alberto Pirani (VESPA – Università di Milano) e Roberto Viganò (Studio AlpVet), si è incentrato sulla valorizzazione delle carni di ungulati selvatici, fornendo informazioni sulle attività di caccia e sulle opportunità per la creazione di una filiera alimentare controllata.
Nella pubblicazione è emerso come la filiera delle carni di selvaggina presenti caratteristiche interessanti in termini di opportunità di mercato. Tuttavia, ad oggi, l’attività di caccia locale non soddisfa la domanda interna, sia in termini di qualità e quantità di prodotto. Di conseguenza, la domanda è soddisfatta da una quantità rilevante di carni importate soprattutto dalla Polonia, Austria, Ungheria e Slovenia, tra i produttori europei, o in Nuova Zelanda, USA e Australia tra i non UE Paesi. Pertanto, partendo dal presupposto che la carne di selvaggina degli ungulati selvatici rappresenti una risorsa economica che potrebbe rilanciare l’economia locale soprattutto delle aree montane marginali, la ricerca in atto ha valutato il volume della produzione dei distretti di caccia della Val d’Ossola (VCO2 e VCO3).
I risultati hanno dimostrato che l’attività venatoria svolta nel territorio di indagine presenta caratteristiche molto interessanti per il mercato, tuttavia, ad oggi, mancano ancora standard igienico-sanitari e qualitativi richiesti dal commercio. In tal senso è stata svolta l’attività di formazione di cui sopra.
È emerso infatti dai questionari compilati, che la selvaggina cacciata nel territorio sarebbe in grado di soddisfare la richiesta del mercato locale, andando anche a coprire parte del mercato extra-provinciale. Tuttavia, al momento, la maggior parte della carne di ungulati finisce in autoconsumo, o regalata ad amici/parenti. Inoltre molte porzioni dalle caratteristiche culinarie di pregio (lingua, fegato, trippa, …) vengono scartate o gettate.
Tutti gli intervistati possedevano le competenze di base richieste per lo svolgimento della caccia di selezione, ma solo pochi di loro hanno partecipato volontariamente a sessioni di formazione specifica sulla gestione delle carni di selvaggina e/o inerenti gli aspetti sanitari. Frequenza PoligonoÈ emerso inoltre un problema legato al benessere animale: il progetto sta infatti promuovendo l’aspetto etico della caccia ed il rispetto completo del benessere animale. Tuttavia dai questionari è risultato che il 20% dei cacciatori non è iscritto ad alcuno tiro a segno, e solo il 25% si allena costantemente (oltre le 10 volte) al poligono. Ciò comporta un aumento del tasso di ferimento degli ungulati, aspetto inaccettabile sia dal punto di vista etico che di valorizzazione del prodotto selvaggina.

Analizzando la tipologia di consumo delle carni di ungulato, emerge che la maggior parte dei cacciatori predilige stufati, brasati e spezzatini, con lunghe cotture. Tale aspetto indica una scarsa conoscenza della qualità del prodotto derivante dalla selvaggina. infatti il consumo di carpacci e tartare è limitato a meno del 20% di coloro i quali hanno compilato il questionario.
Proprio alla luce di questi risultati il progetto ha investito nella formazione teorica e pratica di oltre 100 cacciatori, e nella promozione di attività volte a valorizzare queste produzioni locali e sostenibili. Partendo da questi dati si andrà ad agire sulle problematiche emerse, al fine di migliorare le pratiche di gestione e sviluppare una filiera strutturata e legata al territorio.

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