Community empowerment for managing wild boar: a longitudinal case study of northern Italy 2001–2018 – Ecology and Society

Un’indagine realizzata da un team di ricercatori dell’Università della Svizzera italiana di Lugano e dallo Studio AlpVet descrive nuove strategie per la gestione sostenibile del cinghiale sul territorio nazionale. L’osservazione di quanto attuato da circa vent’anni nella Provincia di Verbania (VCO) nel nord del Piemonte ha dato vita all’articolo “Community empowerment for managing wild boar: a longitudinal case study of northern Italy 2001–2018” pubblicato su Ecology and Society, un’importante rivista di ecologia a livello internazionale (scaricabile integralmente al seguente link: https://www.ecologyandsociety.org/vol23/iss4/art12/ES-2018-10353.pdf)

Ecology and Society

Gli autori descrivono gli effetti della gestione proposta agli inizi degli anni 2000 dal Dott. Luca Rotelli (tecnico regionale nella provincia del VCO per il servizio faunistico del Piemonte dal 1998 al 2010) e adottata dal Comprensorio alpino di caccia VCO2, dove è stata applicata una forte limitazione della caccia al cinghiale, e analizzano gli effetti della responsabilizzazione del mondo venatorio, attraverso un sistema di gestione descritto col termine Community Empowerment (CE) (Trad. Responsabilizzazione della Comunità), voluto dal Corpo di Polizia provinciale a partire dal 2010. La descrizione di questo caso di studio, unico in Europa, è stata curata da Stefano Giacomelli, Michael Gibbert e Roberto Viganò, e si basa su dati di archivio e interviste ai vari attori coinvolti nel periodo di gestione del cinghiale dal 2001 al 2018.

A partire dal 1996 la Provincia di Verbania è stata suddivisa in tre comprensori alpini (CA) di caccia (VCO1 – Verbano-Cusio; VCO2 – Ossola Nord; VCO3 – Ossola Sud), ciascuno presieduto da un comitato incaricato della gestione della fauna selvatica e dell’organizzazione venatoria (ex L.R. 70/1996), in coordinamento con la Provincia del VCO e sotto l’egida della Regione Piemonte. Nonostante le tre aree fossero simili dal punto di vista ambientale e climatico, con le prime segnalazioni di presenza del cinghiale sul territorio, e i conseguenti danni registrati alle attività agro-pastorali, i CA VCO1 e VCO3 decisero di aprire la caccia al cinghiale ai singoli cacciatori e/o squadre, attraverso il pagamento di una quota di accesso, mentre il CA VCO2 intraprese un’altra via. Seppur non fosse possibile vietare la caccia al cinghiale, in quanto i regolamenti regionali impedivano questo tipo di scelta, su suggerimento del dott. Luca Rotelli si stabilì di applicare piani di prelievo di poche unità e consentire la possibilità di abbattimento della specie solo ai cacciatori di selezione esclusivamente durante le giornate di caccia dedicate al prelievo degli ungulati ruminanti. Questa scelta gestionale venne adottata allo scopo di evitare che la caccia al cinghiale – soprattutto nella forma della braccata – diventasse attraente per il mondo venatorio, e potenzialmente favorisse immissioni illegali di suidi sul territorio (documentati da analisi di DNA affidate alla Regione).

La strategia del CA VCO2 si dimostrò funzionale in quanto il numero degli animali prelevati rimase stabile negli anni intorno alle poche unità e i danni sul territorio estremamente contenuti. Viceversa, nei comprensori limitrofi, l’applicazione del metodo della braccata e l’allungamento del periodo di caccia, fece registrare un incremento di danni alle attività agricole e ai prati/pascoli, nonostante l’aumento di anno in anno del numero di cinghiali prelevati. Da queste osservazioni, nel 2010, la Provincia del VCO attraverso il corpo di Polizia provinciale cominciò ad implementare in maniera strutturata il sistema di gestione Community Empowerment a tutti i tre Comprensori, così da coinvolgere maggiormente la responsabilità del mondo agricolo e venatorio nei confronti della gestione del cinghiale. Il metodo ha portato alla creazione di una rete capillare di cacciatori volontari che hanno cominciato a collaborare con le forze di Polizia per ridurre il numero di cinghiali e i loro danni. Lo scopo principale, come dichiarato da Riccardo Maccagno (Comandante della Polizia provinciale dal 2012, e in precedenza vice-comandante) “era quello di creare un sistema in grado di ridurre il numero di cinghiali, i loro danni e, soprattutto, di fermare le immissioni illegali”.

La collaborazione tra cacciatori ed i membri del sistema CE ha portato inizialmente a qualche malumore, perché ha avuto l’effetto di ridimensionare il numero di capi prelevati durante la stagione venatoria. Tuttavia, si ritiene, abbia anche contribuito a disincentivare l’immissione illegale di altri cinghiali sul territorio. Un ulteriore dato interessante è che un sistema quale quello adottato nel CA VCO2, dove la caccia al cinghiale è fortemente limitata, non implica un maggior numero di danni alle attività agricole rispetto ai comprensori dove la caccia al cinghiale è ammessa.

L’articolo pubblicato su Ecology and Society non suggerisce la chiusura della caccia al cinghiale, la quale è considerata come un elemento culturale di alcune realtà italiane. Pone tuttavia l’accento sulla necessità di una gestione più consapevole e responsabile nei confronti della specie, attraverso una maggior coinvolgimento di tutte le componenti interessate. Il sistema adottato nel CA VCO2 si pone come interessante caso studio, volto a limitare l’aumento della specie dovuto ad un mero interesse venatorio, fin dalla sua comparsa sul territorio. Il sistema CE interviene invece in maniera efficace su sistemi gestionali che ammettono la caccia al cinghiale, favorendo una distribuzione della pressione venatoria, attraverso contenitivi, sull’intero anno e garantendo immediatezza di intervento a favore di coloro che subiscono danni. Entrambi i sistemi inoltre contribuiscono a rendere l’immissione illegale di nuovi capi di cinghiale meno attrattiva, poiché eliminano alla base la necessità o l’interesse per questo comportamento illecito.

 

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